Disturbi emotivi e comportamentali dell’età evolutiva

Quando si parla di Età Evolutiva facciamo riferimento al periodo di vita che va dalla nascita fino all’adolescenza (12 anni) e che si suddivide a sua volta in prima infanzia, seconda infanzia e fanciullezza. Sono anni caratterizzati da numerosi cambiamenti su diversi livelli: fisico, cognitivo, affettivo e comportamentale. Nel corso delle esperienze e dei cambiamenti che il bambino vive, possono esserci delle difficoltà che se inespresse, non capite o non affrontate possono determinare disturbi emotivi e comportamentali. E’ dunque importante prestare a attenzione a tutti i campanelli d’allarme e cogliere eventuali segni di difficoltà che si presentano, al fine di prevenire la strutturazione di una patologia o di un disturbo più importante.

I disturbi dell’età evolutiva

Alcuni segnali possono essere, ad esempio, una riduzione del peso corporeo, un declino nel rendimento scolastico, una difficoltà nelle relazioni sociali, un comportamento oppositivo e provocatorio, episodi di enuresi. L’intervento psicologico in età evolutiva diventa importante e ed è utile sia in presenza di difficoltà limitate, puramente a scopo di prevenzione e sostegno, sia in caso di disturbo conclamato, sotto forma di trattamento psicologico o in associazione a un trattamento neuropsicologico.

I disturbi dell’età evolutiva vengono suddivisi solitamente in due grandi categorie quali disturbi internalizzati (emotivi) e esternalizzati (comportamentali) ma esistono altre categorizzazioni di disturbi che comprendono anche situazioni di complessità maggiore determinati da difficoltà congenite, acquisite o cognitive, come di seguito indicato.

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Disturbi comportamentali

Disturbi emozionali

Disturbi della comunicazione

Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA)

Disordini delle capacità motorie

Disturbi generalizzati dello sviluppo

Disturbi dell’evacuazione

Disturbi delle nutrizione e dell’alimentazione

La valutazione psicodiagnostica in età evolutiva

Secondo l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (King et al., 1995), gli obiettivi della valutazione diagnostica in età evolutiva sono:

  • identificare le ragioni e i fattori che hanno portato il bambino alla valutazione;
  • ottenere un quadro del funzionamento evolutivo del bambino, sia in riferimento alla natura e al livello di difficoltà comportamentali, menomazioni funzionali (ad es., rimane indietro negli studi, ha poche amicizie, picchia gli altri bambini), e/o preoccupazioni soggettive, sia rispetto alle sue risorse e ai suoi punti di forza in diverse aree: cognitiva, emotiva, affettiva, relazionale;
  • identificare i fattori individuali, familiari e ambientali che possono spiegare, influenzare o migliorare le difficoltà del bambino (ad es., la presenza di fattori psicosociali stressanti specifici; o l’eventuale presenza di una rete di supporto educativo e sociale);
  • stabilire se è presente un disturbo psicopatologico, e, nell’eventualità, porre una diagnosi differenziale;
  • stabilire se è necessario un trattamento, e, in caso affermativo, sviluppare le linee guida di un programma terapeutico.

La conoscenza del funzionamento evolutivo è dunque una componente fondamentale nella valutazione della salute mentale infantile; lo psicologo valuta non solo abilità e/o disabilità del bambino, ma anche punti di forza, aspettative e opportunità potenziali che caratterizzano la sua vita, muovendosi in quella che Vygotskij (1980) definisce “zona di sviluppo potenziale”, concetto ispirato dalla psicologia evolutiva, che può assumere una valenza clinica poiché indica in che misura il bambino è pronto al cambiamento, che cosa può fare oggi con l’aiuto dell’adulto e in un futuro prossimo da solo (Clark et al., 1993).

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Il Processo di valutazione psicodiagnostica (assessment) nell’età evolutiva avviene attraverso diverse fasi:

  1. La Valutazione dei bisogni (valutazione della segnalazione, anamnesi, prime ipotesi psicodiagnostiche)
  2. L’ Esame del bambino attraverso l’ osservazione diretta, il colloquio clinico e la valutazione testistica mediante l’utilizzo di strumenti standardizzati
  3. La Fase di analisi in cui tutte le informazioni cliniche raccolte attraverso il colloquio con i genitori e con il bambino, l’osservazione diretta e i dati della valutazione testistica e della relazione genitore-bambino-genitore sono sottoposte ad una fase di comparazione mirata alla definizione di una diagnosi classificatoria o categoriale del disturbo del bambino
  4. La Fase di restituzione dei risultati della valutazione clinica che vengono riferiti, spiegati e discussi con la consegna della relazione psicodiagnostica scritta e proposta di un’eventuale programma di intervento
  5. Fase di verifica dei risultati dell’assessment a distanza di 3-6 mesi da concordare in modo flessibile, successivo al programma di intervento effettuato. Attraverso il consenso scritto dei genitori è possibile rendere partecipe anche la scuola e gli insegnanti alla verifica e alla collaborazione al progetto terapeutico.

L’intervento cognitivo comportamentale in età evolutiva

L’intervento cognitivo-comportamentale in età evolutiva è un intervento di tipo breve, strutturato e basato sul principio che pensiero, emozione e comportamento sono tre aspetti del funzionamento dell’individuo che interagiscono e si influenzano reciprocamente e continuamente (Kendall, 1993). Secondo l’approccio cognitivo-comportamentale il bambino reagisce non solo all’ambiente ma anche alla sua rappresentazione cognitiva dell’ambiente ed è proprio attraverso di essa che avviene la maggior parte dell’apprendimento. Alla base della sua rappresentazione mentale ci sono i pensieri che si formano durante l’apprendimento e le esperienze vissute, che a loro volta influenzano e determinano anche le emozioni e il comportamento.

Come per gli adulti, alcune esperienze di apprendimento possono determinare la disfunzionalità di alcuni pensieri, emozionalità e comportamenti che si definiscono all’interno di un disturbo psicologico. L’intervento cognitivo-comportamentale agisce a livello dei processi mentali, creando esperienze di apprendimento che consentano al bambino di trasformare i pensieri e i processi cognitivi, le reazioni emotive e i comportamenti disfunzionali. Ad esso si associa solitamente anche un intervento sulle procedure comportamentali basate sul paradigma del condizionamento, ed in particolare attraverso l’utilizzo del rinforzo positivo (Di Pietro, 2015).

L’intervento cognitivo-comportamentale si pone specifici obiettivi che, con il coinvolgimento di tutti i contesti di vista del bambino (scolastico, sociale e familiare), mira a:

  • Nel caso dei disturbi internalizzanti: ridurre la frequenza/l’intensità di risposte emotive spiacevoli, incrementare le abilità di fronteggiamento e di socializzazione, tollerare le situazioni frustranti scoraggiando l’evitamento, favorire l’acquisizione di comportamenti assertivi, elevare l’autostima e i sentimenti di sicurezza, sviluppare maggiore autonomia, eliminare eventuali lamentele somatiche, incrementare le affermazioni di autoaccettazione, costruirsi un’immagine di sé positiva, raggiungere una condizione di tranquillità e benessere.
  • Nel caso dei disturbi esternalizzanti: incrementare i tempi attentivi, migliorare il controllo degli impulsi, rafforzare l’autostima, accrescere la capacità di riconoscere e verbalizzare le emozioni negative, ridurre l’intensità delle interazioni ostili e di sfida, favorire un’adesione rispettosa alle richieste degli adulti, ridurre il livello di tensione, accrescere la soddisfazione per i propri successi, incrementare la tolleranza alle frustrazioni.