La fobia sociale è un disturbo caratterizzato dalla marcata paura di esporsi a una o più situazioni sociali o di eseguire, in pubblico, sotto osservazione, alcune semplici e comuni operazioni pratiche, valutate dal soggetto come vere e proprie prestazioni.
Le situazioni che più comunemente vengono temute comprendono:
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- essere presentato a persone sconosciute;
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- parlare in pubblico;
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- cibarsi davanti ad altre persone;
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- scrivere di fronte ad altri;
- utilizzare in pubblico il telefono;
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- soddisfare i propri bisogni fisiologici in una toilette pubblica.
Tutte le situazioni condividono la credenza dell’individuo di essere osservato dagli astanti, di essere giudicato e di essere valutato negativamente come soggetto inadeguato e ridicolo.
Lo scopo del fobico sociale è quello di costruirsi un’immagine sociale positiva. Il soggetto non si impegna per perseguire la polarità positiva dello scopo ma cerca di evitare l’opposto: cerca in tutti i modi di non fare brutta figura.
Le emozioni che caratterizzano questo disturbo sono:
ansia → non è riconosciuta dal soggetto come un’attivazione emotiva e dunque come un segnale di pericolo ma diventa essa stessa un pericolo (“l’ansia mi farà fare una brutta figura” = ERRORE METACOGNITIVO);
vergogna → emozione spiacevole e specifica che segnala a chi la prova un fallimento relativo allo specifico scopo della buona immagine sociale. La persona che si vergogna assume che colui di fronte al quale manifesta la sua vergogna lo giudichi o giudicherà male (metavergogna = vergogna della vergogna). Quando subentra la metavergogna, la persona tende a esperire l’emozione della vergogna più intensamente e frequentemente, innescando un CIRCOLO VIZIOSO tra vergogna e metavergogna.
Il disturbo può essere strutturato in tre momenti:
- L’attesa della situazione → l’idea stessa di dover affrontare una situazione temuta provoca una forte reazione ansiosa.
- La situazione → il momento più temuto; man mano che l’agitazione cresce, il soggetto cerca sempre più affannosamente di controllare l’ansia; questo tentativo, però, genera l’effetto contrario: l’ansia aumenta e si rafforzano i pensieri di fare una figuraccia, i quali a loro volta, alimentano l’ansia e la paura. Comincia a radicarsi con sempre più evidenza la convinzione di essere al centro degli sguardi di tutti e che l’attenzione dei presenti sia concentrata unicamente sui suoi gesti.
In questi momenti, per controllare l’ansia, il soggetto mette in atto alcuni comportamenti protettivi.
- La valutazione personale successiva → terminato il momento dell’esposizione l’ansia lentamente scende ma lascia il posto, solitamente, a una certa insoddisfazione per se stessi. Il fobico sociale comincia a rivedere tutti gli errori (veri o presunti), considera quanto l’ansia sia stata evidente e quanto sia stato goffo. Questa critica personale non fa altro che abbattere e dare la sensazione di essere un vero e proprio incapace e farà aumentare l’ansia anticipatoria alla prossima situazione sociale temuta.
Cause della fobia sociale
Non è possibile individuare la causa principale a cui attribuire con certezza l’origine di questo disagio. Le cause sono molteplici e vanno ricercate, secondo la maggior parte degli studiosi, nell’interazione tra le caratteristiche genetiche e l’ambiente: familiarità per i disturbi d’ansia, temperamento, fattori educative (genitori ansiosi, ostacoli alle esperienze di socializzazione, ipercriticismo, eccessiva severità, isolamento sociale familiare, abbandono e trascuratezza), apprendimento.
Fattori di mantenimento della fobia sociale
Processi cognitivi e comportamentali:
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- Processi di attenzione: attenzione focalizzata su di sé durante la situazione sociale.
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- Processi di memoria: si attiva il ricordo di precedenti fallimenti che produce un aumento dell’ansia e dell’attenzione focalizzata su di sé.
- Processi di ragionamento:
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Inferenza arbitraria: formulare conclusioni in assenza di prove («gli altri mi guardano perché sono in ansia»).
Astrazione selettiva: focalizzarsi su un dettaglio astraendolo dal contesto e ignorando altri importanti aspetti della situazione (es. il fobico sociale ritiene che gli tremerà la mano quando berrà perché si sente ansioso e si focalizza su questo, senza considerare l’interesse delle persone per lui e per ciò che dice, perdendo quindi di vista la conversazione)
Ipergeneralizzazione: estrarre una regola generale sulla base di uno o più episodi isolati e applicare il concetto a molteplici situazioni, collegate e non (es. il fobico sociale pensa che poiché lui e i suoi amici avevano deriso un ragazzo balbuziente, allora anche lui sarebbe stato deriso per il suo tremore)
Catastrofizzazione: esagerare il significato o l’importanza di un evento in senso negativo (es. il fobico sociale pensa che il suo tremore sia motivo sufficiente per essere commiserato e ridicolizzato dagli altri e dunque compromettere lo scopo della buona immagine).
Personalizzazione: collegare inappropriatamente gli eventi esterni a sé stessi (es. il fobico sociale vedendo qualcuno al bar che ride o scambia cenni di intesa con il suo interlocutore pensa che si sta riferendo a lui e lo sta deridendo perché ha notato il suo tremore)
Pensiero dicotomico: categorizzare tutte le esperienze in due categorie estreme e opposte (es. il fobico sociale pensa che o gli altri non si rendono conto del suo problema oppure se lo notano lo giudicano negativamente e tutti allo stesso modo)
Ragionamento emotivo: tendenza ad usare le proprie emozioni come fonte di informazioni e di valutazioni (es. «se mi sento ansioso, allora deve esserci un pericolo», «se mi vergogno così tanto, vuole dire che ho fatto davvero una brutta figura e che mi stanno giudicando male per questo»)
Lettura del pensiero: credere di sapere quello che pensano gli altri, escludendo altre possibilità (es. «tutti mi guardano…stanno pensando che sono un idiota»)
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- Processi di pensiero: ruminare sulla situazione sociale affrontata (il fobico sociale pensa a come si è svolta l’interazione, alla sua scarsa performance e sul possibile giudizio degli altri).
- Processi comportamentali: evitamenti e comportamenti protettivi, ovvero i comportamenti messi in atto, più o meno volontariamente, allo scopo di tenere sotto controllo l’ansia nelle situazioni sociali temute (es. impugnare con forza oggetti, tenere le braccia strette lungo il corpo, truccarsi in modo pesante). A volte vengono messi in atto sotto forma di azioni mentali (es. continuare a ripetere mentalmente ciò che si vuole dire).
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Diagnosi differenziale
Disturbo d’ansia generalizzata: l’attenzione si concentra più sull’andamento delle relazioni piuttosto che sulla paura della valutazione negativa. Soprattutto i bambini, possono manifestare preoccupazioni eccessive legate alla qualità della loro prestazione sociale, ma queste paure si riferiscono anche alla prestazione non sociale e quando l’individuo non viene valutato da altri.
Disturbi evitante di personalità: data la frequente insorgenza in età infantile e la persistenza in età adulta, il disturbo d’ansia sociale può assomigliare a un disturbo di personalità. Gli individui con disturbo evitante di personalità hanno un pattern di evitamento più ampio.
Altre condizioni mediche: possono comportare sintomi potenzialmente imbarazzanti (tremore nella malattia di Parkinson). Quando la paura della valutazione negativa dovuta ad un’altra condizione medica è eccessiva, dovrebbe essere considerata la diagnosi di disturbo d’ansia sociale.
Bibliografia
American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. (DSM-5) Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
Bisleghi L., Marsigli N. (2005). Il timore degli altri. Salerno: Ecomind;
Procacci M., Popolo R., Marsigli N. (2011). Ansia e ritiro sociale. Milano: Raffaello Cortina Editore;
Sassaroli S., Lorenzini R., Ruggiero G.M. (2006). Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Maggiori informazioni sulla fobia sociale.